giovedì 14 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 07. COCO CHANEL 2°parte

Nel 1919 Coco Chanel cominciò a frequentare l’ambiente degli artisti avendo come guida i Sert: lui, un pittore spagnolo di grande fascino, lei, uno straordinario personaggio al centro della Parigi delle avanguardie, precedentemente sposata con Thadèe Natanson, il fondatore di “La Revue Blanche”, una delle più importanti riviste d’avanguardia della fine dell’ottocento. Proust, Monet, Renoir, Redon, Signac, Debussy, Mallarmè, Gide, Toulouse-Lautrec, Vouillard, l’intero gruppo Nabis e molti altri, frequentarono abitualmente la loro casa o collaborarono alla rivista. Nel 1914 lei sposò Josep-Maria Sert, un pittore catalano di grande successo, anche se non d’avanguardia e fù così che Coco si trovo al centro della società degli artisti internazionali che animavano Parigi e cominciò a capire le loro idee per rinnovare la cultura occidentale. A Venezia fu presentata a Djagilev, il fondatore dei Ballets Russes e tornando a Parigi decise di finanziare La sagra della primavera con la coreografia di Massine e ospitò Stravinskij con la famiglia a casa sua. Questo fù l’inizio del suo coinvolgimento nella vita teatrale. Nel 1922 Jean Cocteau le affidò la realizzazione dei costumi per Antigone di Sofocle di cui aveva curato la riedizione; i suoi modelli erano ambientati in una scenografia progettata da Picasso. Nel febbraio 1923 Vogue scrisse “ Quegli abiti di lana dai toni neutri davano l’impressione di indumenti antichi ritrovati dopo secoli… è una bella ricostruzione di un arcaismo illuminato d’intelligenza”. La collaborazione fra Chanel e Cocteau, iniziata con questo lavoro, continuerà per quattrordici anni. Il rapporto con gli artisti dell’avanguardia non impedì a Chanel di essere al centro anche della società alla moda che, in quel primo dopoguerra, stava cambiando le abitudini, i modelli di comportamento, lo stile di vita della borghesia internazionale e frequentava il suo atelier. Parigi era diventata un punto di riferimento: la sua cultura si stava svecchiando e americanizzando; qui più che altrove, si aveva l’impressione che l’Ottocento fosse finito e il mondo moderno stesse prendendo forma. Fu in questo contesto che Chanel conobbe il granduca Dimitrij, nipote dello zar ucciso durante la rivoluzione sovietica. Dimitrij era in esilio; vissero insieme per un anno, nonostante l’abissale differenza sociale che separava le loro origini, ma a questo punto lei era una richissima donna di successo e lui un esule cui rimanevano solo i gusti e i modi di un illustre passato. Grazie a lui Chanel entrò in un ambiente ignoto, con regole e modelli culturali affascinanti, da cui, ancora una volta, trasse ispirazione per il suo lavoro. Innanzitutto scoprì il profumo; dovette essere lui a farle cambiare idea a proposito di quello che lei considerava semplicemente un imbroglio per nascondere il cattivo odore. Fu lui ad indicarle Ernest Beaux, un chimico di Grasse; fu la collaborazione tra Chanel e Beaux a produrre il profumo più famoso del XX secolo; il chimico elaborò il metodo di fabbricazione, mettendo insieme per la prima volta essenze naturali e componenti sintetiche che avevano il compito di stabilizzare la fraganza e farla durare nel tempo. Il suo profumo non somigliava a nessun odore riconoscibile. L’insieme degli ingredienti era dosato in modo da avere una fragranza del tutto specifica e nuova, gradevole e artificiale: Chanel N°5. La confezione era una semplice bottiglia di farmacia trasparente su cui venne applicata un’etichetta bianca con la scritta nera. L’insieme costituiva un’assoluta novità nel campo della profumeria. Chanel N°5 fu la prima realizzazione a uscire dalle sue boutique per imboccare la strada dell’industria: nel 1924 Coco stipulò un contratto con i Wertheimer, proprietari di Les Parfumeries Bourjois (la più grande casa francese di cosmetici), per creare una nuova società, Les Parfums Chanel, incaricata della sua produzione e della sua distribuzione.
L’influenza russa esercitata dal granduca Dimitrij, ma anche dai Ballets Russes, si vide soprattutto negli abiti che Chanel propose in quegli anni. Fu un indumento ad attirare la sua attenzione: la roubachka, il tipico camiciotto con la cintura che faceva parte dell’abbigliamento tradizionale dei contadini russi. La sua foggia era una semplice variazione del capospalla diritto e appoggiato sul fianco che Coco aveva copiato ai marinai e agli stallieri. Allo stesso modo rimase affascinata dai ricami che scoprì sugli indumenti del suo amante; erano disegni a motivi geometrici che venivanoo dalla tradizione popolare, del tutto diversi da quelli eseguiti dalle ricamatrici professionali dell’occidente. La collezione che presentò nel 1922 era incentrata su questi due temi, come disse Poiret “ Chanel aveva inventato la povertà di lusso”. Tra il 1924 e il 1925 i modelli assunsero una linea a tubo con la vita bassa, una cintura annodata sui fianchi e una gonna che poteva essere dritta o con effetti di sbieco che ne favorivano la caduta. L’orlo si alzava sempre più verso il ginocchio. Tutti i riferimenti e le citazioni maschili che, fino a questo momento, aveva utilizzato per costruire il “suo abito”, erano diventate invisibili, trasformate com’erano in semplici elementi di taglio e di comfort di un indumento assolutamente femminile e coerente con la moda parigina. Ma la ricerca di Chanel non era finalizzata ad uno schema decorativo: il suo oggetto era un abito funzionale alla vita moderna e questo la portò al massimo dell’astrazione. Nel 1926 presentò un abitino nero che poteva essere indossato in qualsiasi occasione, contravvenendo alla regola tradizionale di realizzare capi diversi per situazioni sociali differenti. La sua destinazione d’uso era indicata dagli accessori con cui veniva accoppiato. Vogue colse immediatamente il significato del modello e lo paragonò ad un oggetto che poteva essere ritenuto a pieno titolo il simbolo dell’era moderna: l’automobile. Non però un veicolo d’èlite, ma una Ford nera, con cui l’industria americana cercava di raggiungere il mercato di massa, cambiando le sue abitudini di trasporto. Come l’abitino, anche la Ford era utilizzabile in qualsiasi occasione ed era fabbricata in un solo colore che poteva rappresentare sia la serietà del lavoro sia l’eleganza della festa: il nero. Questo vestito può essere considerato il risultato finale del lavoro di semplificazione cui Chanel sottopose l’abito intero femminile; la sua ricerca negli anni successivi si concentrò quindi sul tailleur e sull’abbigliamento informale. Lo spunto venne ancora una volta dal guardaroba di un suo amante: il duca di Westminster. Attraverso lui Coco aveva sperimentato lo stile di vita dell’aristocrazia inglese. Le collezioni degli anni tra il 1927 e il 1930 si specializzarono nei completi composti da giacca diritta di modello maschile, gonna e blusa coordinata, cui si aggiunsero gilet e cappotti sportivi ispirati alla sartoria inglese, arricchiti dai tweed che faceva tessere appositamente in Scozia. Le sue creazioni, nonostante l’ispirazione maschile, erano sempre rigorosamente femminili ma rispondevano alla filosofia vestimentaria dell’abbigliamento da uomo: comodità, semplicità, tessuti morbidi e piacevoli da indossare, stile impeccabile, distinzione. Quando il suo modello ebbe raggiunto il più assoluto rigore, Chanel iniziò a concedersi civetterie e contaminazioni, cominciando ad utilizzare gioielli sempre più vistosi. Per lei i gioielli avevano una funzione nuova: servivano a decorare e rendere femminile un abito, consentendo uno spazio di fantasia alla donna che lo indossava, che personalizzava così un modello molto uniforme. Non era assolutamente necessario che fossero diamanti; Coco diceva “il gioiello ha un valore colorato, un valore mistico, un valore ornamentale: tutti i valori tranne quelli che si esprimono in carati…. Il gioiello non è fatto per provocare l’invidia, al massimo lo stupore; deve restare un ornamento e un divertimento”. Nel 1924 Chanel aprì un laboratorio che affidò alla guida del conte Etienne de Beaumont, per produrre gioielli falsi, bijoux fantastici copiati da quelli veri ma esagerandone le proporzioni e i colori. Alla fine degli anni Venti lo stile Chanel era stato raggiunto: abiti diritti e semplici, giacche e blazer sportivi, colori neutri, materiali morbidi e gioielli finti. Non era nato da un’idea precisa, ma si era andato costruendo nel tempo e attraverso mille esperienze diverse e conteneva, trasformati, tutti gli stimoli culturali di quei due decenni. Il risultato era un’uniforme per la donna borghese moderna. Il compito che affidò al suo lavoro fu inventare un abbigliamento femminile che andasse bene a quelle che, come lei, si vestivano per lavorare e vivere insieme agli uomini, senza pensare di poter usare gli abiti per affascinare eventuali mariti e ancor meno per diventare espositori dello stato sociale della famiglia di appartenenza. Le sue clienti erano signore dell’alta società, quelle che fino a quel momento si erano vestite per conquistare un marito e per esporre la ricchezza della propria famiglia ma che cominciavano a sentire i segni del cambiamento e ad avere voglia di dare una svolta alla propria esistenza. La guerra aveva offerto loro un’occasione di emancipazione irripetibile, la possibilità di creare un vero ruolo femminile borghese con una sua funzione attiva nella società e Chanel si era trovata al loro fianco, perché questo era il compito che aveva dato fin dall’inizio al suo lavoro: inventare una moda che smettesse di decorare le donne del vecchio mondo e che, al contrario, comunicasse l’identità e il ruolo sociale di quelle del nuovo. Leggendo gli articoli di Adolf Loos o i testi attraverso cui Gropius spiegava gli obbiettivi della Bauhaus, si ha la stessa impressione di ricerca di onestà, si coglie lo stesso desiderio di collaborare alla fondazione di un’umanità nuova, capace di vivere la crudezza della modernità senza nascondersi dietro nostalgie del passato o favole esotiche. Il suo abito non era di per sé un segno di distinzione, era un abito moderno adatto a tutte. La distinzione stava del saperlo portare, nell’essere abbastanza giovani e moderne da essere chic in un vestito dal taglio monacale, nell’essere tanto sicure di sé da non avere bisogno di mascherarsi. Nel delineare la filosofia del dandy, Balzac aveva affermato che un uomo elegante è un uomo che non si nota. Chanel applicò lo stesso principio al femminile, partendo innanzitutto da se stessa. Nei suoi comportamenti è facile trovare somiglianze con i dandy ottocenteschi: anche lei propose un modello vestimentario che era in primo luogo il suo e lo impose attraverso un tipo di vita pubblica che sovvertiva tutte le regole del perbenismo borghese e di cui tutti s’impossessarono con avidità.

Testo tratto da: Storia della moda XVIII-XX secolo, Enrica Morini, edizioni Skira


Si conclude qui la seconda parte. E’ impossibile riassumere tutta la vita e il lavoro di Coco Chanel in poche righe… ora io vado in vacanza. In agosto, al mio ritorno, posterò subito la terza ed ultima parte, con allegate finalmente un po’ di immagini…. Buona estate a tutti… a presto CRI

1 commento:

  1. Ciao!fantastico post!sto lavorando ad un progetto circa chanel/Picasso/qualsiasi altro artista moderno....potresti gentilmente mandarmi magari del materiale da cui magari hai tratto le info per questo post....grazie mille!:D

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