La guerra dispensò le donne dall’occuparsi di moda e le obbligò a divise da lavoro, uniformi e abiti a lutto.
Le signore della buona società, vedove di guerra, cercarono durante il conflitto di creare uno stile anche per l’abbigliamento a lutto; riviste di moda fornivano modelli per l’abbigliamento più adeguato, sempre castigato, sempre nero, mai attillato, con cappelli spesso abbinati ad un velo scuro.
Mentre gli uomini erano al fronte le donne dovettero sostituirli in molti dei loro lavori; si diedero all’agricoltura e all’edilizia, trovarono impiego nelle fabbriche di munizioni e simili, come controllori e conducenti dei mezzi pubblici e perfino con ruoli di livello dirigenziale in alcune imprese. Svolsero anche servizi di tipo militare, alcune addirittura in prima linea e non soltanto come infermiere. Fù così che le donne si abituarono ad indossare le uniformi.
Lo stile militare, essenziale e privo di fronzoli, fece presto breccia nella moda. Erano soprattutto i cappotti a ispirarsi alle uniformi, ora ricoprivano completamente il vestito mentre prima della guerra erano notevolmente più corti delle gonne e lasciavano sempre intravedere qualcosa del bell’abito sottostante.
L’intero abbigliamento divenne funzionale: la gonna stretta lasciò spazio alla longuette a pieghe, i cappelli divennero più piccoli e senza fronzoli. L’elemento lezioso venne più o meno bandito, le lavoratrici constatarono che le uniformi e gli abiti da lavoro erano pratici e avevano anche un certo fascino, facevano apparire le donne serie e competenti.
Anche i pantaloni diventarono un’abitudine; vestite diversamente le donne non avrebbero potuto svolgere le loro nuove mansioni. Tuttavia molti si accorsero che i pantaloni potevano essere persino chic. Le donne furono conquistate soprattutto dal fascino della tuta (overall) che ricordava l’uniforme dei tanto ammirati aviatori.
Quello che si cercava nel lavoro era però ancora malvisto nelle occasioni mondane; il trionfo dei pantaloni marciava comunque a rilento, come l’emancipazione.
Molte case di moda come quella di Poiret ( vedi lezione precedente) e di Vionnet, chiusero durante il conflitto e l’unica sopravvissuta di guerra può essere considerata Chanel, i cui fonzionali completi in Jersey resistettero alla crisi, grazie alle linee morbide e al materiale cedevole che permetteva maggiore libertà di movimento.
Per la prima volta la moda tedesca dovette cavarsela senza Parigi e non andò tanto male. I sarti e gli stilisti berlinesi acquisirono maggiore consapevolezza e considerazione di se stessi fino a formare nel 1916 la Associazione dell’industria sartoriale tedesca con lo scopo di fare concorrenza a Parigi, indiscussa capitale della moda.
Le signore della buona società, vedove di guerra, cercarono durante il conflitto di creare uno stile anche per l’abbigliamento a lutto; riviste di moda fornivano modelli per l’abbigliamento più adeguato, sempre castigato, sempre nero, mai attillato, con cappelli spesso abbinati ad un velo scuro.
Mentre gli uomini erano al fronte le donne dovettero sostituirli in molti dei loro lavori; si diedero all’agricoltura e all’edilizia, trovarono impiego nelle fabbriche di munizioni e simili, come controllori e conducenti dei mezzi pubblici e perfino con ruoli di livello dirigenziale in alcune imprese. Svolsero anche servizi di tipo militare, alcune addirittura in prima linea e non soltanto come infermiere. Fù così che le donne si abituarono ad indossare le uniformi.
Lo stile militare, essenziale e privo di fronzoli, fece presto breccia nella moda. Erano soprattutto i cappotti a ispirarsi alle uniformi, ora ricoprivano completamente il vestito mentre prima della guerra erano notevolmente più corti delle gonne e lasciavano sempre intravedere qualcosa del bell’abito sottostante.
L’intero abbigliamento divenne funzionale: la gonna stretta lasciò spazio alla longuette a pieghe, i cappelli divennero più piccoli e senza fronzoli. L’elemento lezioso venne più o meno bandito, le lavoratrici constatarono che le uniformi e gli abiti da lavoro erano pratici e avevano anche un certo fascino, facevano apparire le donne serie e competenti.
Anche i pantaloni diventarono un’abitudine; vestite diversamente le donne non avrebbero potuto svolgere le loro nuove mansioni. Tuttavia molti si accorsero che i pantaloni potevano essere persino chic. Le donne furono conquistate soprattutto dal fascino della tuta (overall) che ricordava l’uniforme dei tanto ammirati aviatori.
Quello che si cercava nel lavoro era però ancora malvisto nelle occasioni mondane; il trionfo dei pantaloni marciava comunque a rilento, come l’emancipazione.
Molte case di moda come quella di Poiret ( vedi lezione precedente) e di Vionnet, chiusero durante il conflitto e l’unica sopravvissuta di guerra può essere considerata Chanel, i cui fonzionali completi in Jersey resistettero alla crisi, grazie alle linee morbide e al materiale cedevole che permetteva maggiore libertà di movimento.
Per la prima volta la moda tedesca dovette cavarsela senza Parigi e non andò tanto male. I sarti e gli stilisti berlinesi acquisirono maggiore consapevolezza e considerazione di se stessi fino a formare nel 1916 la Associazione dell’industria sartoriale tedesca con lo scopo di fare concorrenza a Parigi, indiscussa capitale della moda.
Nessun commento:
Posta un commento