sabato 16 maggio 2015

Storia della moda nel XX secolo. Lezione 08. COCO CHANEL 3°parte

Il 29 ottobre 1929 ci fu il crollo della Borsa di Wall Street; un avvenimento che sconvolse la società occidentale.
Nel giro di un anno fu evidente che anche la moda parigina ne sarebbe rimasta travolta: ormai il lusso era diventato irraggiungibile per una parte sempre maggiore della popolazione e gli americani, che negli anni Venti avevano popolato e condizionato l’Europa con il loro modo di vivere, erano tornati rapidamente a casa. L’America era diventata non solo povera ma anche austera; la spensierata voglia di divertimento che aveva caratterizzato il dopoguerra fu di colpo cancellata e sostituita con un modello di comportamento più adulto e impegnato, che non corrispondeva in nulla all’idea che la moda aveva proposto fino a quel momento.
Chanel capì che lo stile del nuovo decennio non sarebbe nato né a Parigi né in Europa, ma negli Stati Uniti; intuì che per affrontare il futuro bisognava studiare lo strumento di comunicazione e spettacolo che stava cambiando il modo di pensare di mezzo mondo: il cinema. Il teatro aveva perso il suo ruolo nella cultura popolare, non era più in grado di imporre modelli di riferimento e mode ad un pubblico di massa. Un film raggiungeva in un tempo brevissimo una quantità di spettatori quale probabilmente il teatro non aveva toccato in tutta la sua storia. Le dive, quelle cui il mondo intero guardava per innamorarsi, vestirsi, truccarsi e pettinarsi, venivano da Hollywood. ( vedi: Divismo, http://it.wikipedia.org/wiki/Divismo )
Nel 1931 anche Chanel decise di fare l’esperienza americana, accettando l’offerta che Samuel Goldwyn le stava facendo da molto tempo: vestire le sue dive nei film e nella vita privata.
Così Coco vide come si girava un film, incontrò i capi del reparto costumi e imparò dai più bravi cosa volesse dire fotogenico e come si realizzava. Si rese conto che la cinepresa era una macchina che imponeva nuovi tipi e nuovi volti: Garbo con le orbite profonde e le sopracciglia strappate e ridisegnate, Dietrich con le guance risucchiate, Joan Crawford con la bocca a farfalla. Con il suo staff Coco doveva preparare un guardaroba che due anni più tardi, alla fine della proiezione del film in Europa, non risultasse fuori moda. A Hollywood scoprì un tipo di donna che aveva definitivamente superato il modello ottocentesco; il cinema americano stava proponendo all’immaginario collettivo una figura femminile emancipata, donne affascinanti e fatali che seducevano gli uomini trattandoli da pari.
Quando tornò in Europa fece due cose. Innanzitutto una collezione ispirata a quanto aveva visto negli Stati Uniti, facile e con tessuti poco costosi, ma anche abiti da sera dalla linea nuova e scivolata in sbieco sul corpo, e poi cominciò a lavorare al primo film. Doveva vestire Gloria Swanson in Tonight or never. La pubblicità che ne ottenne fu incredibile e il suo prestigio nel mondo della moda aumentò. Ma l’esperimento terminò qui: le dive giudicarono i suoi abiti poco spettacolari.
Nel 1932 l’International Diamone Guild, l’associazione che riuniva i produttori e i mercanti di diamanti, le chiese di progettare gioielli con gemme autentiche; si trattava di una campagna pubblicitaria promossa dal mercato dei diamanti. Chanel lavorò con un gruppo di amici e in particolare con Paul Iribe, il suo nuovo compagno, e preparò una serie completa di pezzi, snodabili e trasformabili.
L’esposizione, dal titolo Bijoux de Diamants era accompagnata da un catalogo, con fotografie di Robert Bresson, in cui Chanel aveva scritto: “Il motivo che all’inizio mi aveva condotta ad immaginare gioielli falsi, è che li trovavo privi di arroganza in un epoca di fasto troppo facile. Questa considerazione scompare in un periodo di crisi finanziaria in cui, per tutte le cose, rinasce un desiderio istintivo di autenticità, che riconduce al suo giusto valore una divertente paccottiglia”.
Ma negli anni successivi Coco tornò al suo primitivo amore per la bigiotteria e Fulco Santostefano della Cerda duca di Verdura, la creò per lei. Era un nobile siciliano arrivato a Parigi nel 1927 per fare il pittore ed era entrato nella Maison Chanel come disegnatore tessile, ma presto gli era stato affidato il laboratorio di gioielleria. Fu dalla sua profonda cultura artistica e dall’anima barocca che contraddistingue quasi sempre il gusto siciliano che uscirono i bijoux Chanel più famosi. La dimesione dei monili e delle pietre era sempre esagerata e dichiarava in modo esplicito la falsità dell’oggetto, ma contemporaneamente era perfettamente adeguata a completare gli abiti semplici di Coco. Come era stato fatto per i profumi, ai gioielli fu dedicata un’intera vetrina di rue Cambon, in modo da attirare anche la clientela che non poteva aspirare ad un abito, ma che poteva acquistare un bijou o una cintura.
Poi fu il 1936, con il suo sfondo di miseria e disoccupazione, che portò alla vittoria elettorale del Fronte Popolare e agli scioperi di tutti i lavoratori francesi. Anche le operaie della Maison Chanel entrarono in sciopero. Gabrielle rifiutò di ricevere le delegate sindacali, non riconoscendone il ruolo e come risposta, le scioperanti le impedirono l’accesso alla Maison. Le trattative furono tese e difficili; Chanel licenziò trecento persone, ma senza risultato. Allora propose di donare l’azienda alle lavoratrici, conservando per sé la direzione, ma le fu opposto un rifiuto. In realtà quello che gli operai francesi volevano erano contratti collettivi, la settimana lavorativa di quaranta ore e le ferie pagate. Di fronte al rischio di essere messa nell’impossibilità di realizzare la collezione dell’autunno, Chanel dovette cedere, ma non accettò mai realmente quello che era successo; la sua educazione politica doveva essere molto recente e interamente dovuta a Paul Ribe, ultimo suo compagno, che era diventato di destra, antisemita, anticomunista e xenofobo, vicino alle posizioni estremiste dei gruppi patriottici che pretendevano un ritorno all’ordine e pieno di ammirazione per la politica militaristica delle dittature europee. Chanel che non era mai stata attratta dalla politica, vedendo il suo lavoro minacciato, non seppe fare altro che reagire con rabbia, con disprezzo ma soprattutto con paura.
Il successo di Schiaparelli tra l’altro continuava a crescere, costringendo Coco a confrontarsi con lei sul mercato della moda. Rispose creando capi che, oltre al prediletto contrasto bianco e nero, prevedevano colori brillanti e modelli in sintonia con la tendenza del travestimento giocoso: dal 1938 comparvero nelle sue collezioni tinte e forme ispirate ai vestiti da festa dei contadini o degli zingari. Gonne ampie di taffetas multicolore, a righe o a quadri, maniche a sbuffo, pantaloni colorati, bluse e boleri decorati con ricami o merletti di gusto folk. Era come se il suo percorso creativo si fosse scontrato con l’eccesso di fantasia e di lusso che percorreva la fine degli anni Trenta e se il suo senso dell’ordine e del rigore fosse stato messo in crisi. Le sue collezioni continuarono a presentare i capi che l’avevano portata al successo. Però, pur essendo realizzati con grande sapienza, non erano in grado di fare proposte davvero alternative alla concorrenza rappresentata da Schiapparelli o Vionnet.
Il 2 settembre 1939 Francia e Inghilterra, messe di fronte all’invasione della Polonia, dichiararono guerra alla Germania. Tre settimane dopo Chanel chiuse la Maison, lasciando aperta solo la boutique che vendeva i profumi. Le lavoranti, licenziate in massa, ricorsero al sindacato. La Chambre syndicale de la couture parisienne cercò di convincere Gabrielle a sospendere la decisione, ma non ci fu nulla da fare. Chiudeva un’ impresa enorme che nel 1935 dava lavoro a circa quattromila operaie e realizzava ogni anno circa ventottomila capi. E lo faceva a dispetto del fatturato e di ogni considerazione sociale nei confronti di chi lavorava per lei. Probabilmente si era resa conto che non aveva più niente da dire nella moda, la società aveva assunto una forma che lei non riusciva più a far combaciare con il suo modo di pensare i vestiti.
Negli anni della guerra visse al Ritz, dove vi si era stabilita dal 1934, che di nuovo era diventato un punto di incontro e di riferimento, questa volta però dei tedeschi, che occupavano la Francia. E al Ritz visse la sua ultima storia d’amore, con un ufficiale nazista molto più giovane di lei che la coinvolse in un‘improbabile operazione di spionaggio. Nel 1944 partì per la Svizzera, dove rimase per nove anni in volontario esilio e dove, come disse lei stessa, non trovò che la solitudine.
Nel 1946 aveva sessantatré anni e la sua parabola sembrava definitivamente chiusa. Un anno dopo Dior sarebbe comparso sulla passerella della moda tradizionale con uno stile, il New Look, che era l’esatto opposto di quello che lei aveva sempre ricercato e che ebbe un successo travolgente.
Chanel era scomparsa dal mondo della moda, le uniche cose che resistevano erano i tessuti, commercializzati con il marchio Chanel e il suo profumo che continuava ad essere considerato un mito. Tornata a Parigi, il 30 settembre 1953, Coco mandò una lettera a Carmel Snow, redattrice capo di Harper’s Bazar, in cui diceva: “ durante l’estate mi sono convinta che sarebbe divertente rimettermi a fare il mio lavoro che è tutta la mia vita.Vi ho certamente già detto che un giorno o l’altro mi sarei rimessa alla creazione di un nuovo stile, adatto a un nuovo modello di vita, e che aspettavo il momento opportuno. Ho l’idea che questo momento sia arrivato”. La sfilata avvenne il 5 febbraio 1954: compratori, fotografi, celebrità, accorsero convinti di assistere ad una nuova rivoluzione, ma non si aspettavano quello che videro. Non lo capirono e interpretarono la collezione come una semplice riedizione della moda degli anni Venti. La stampa reagì in modo impietoso: il giorno dopo i quotidiani uscirono con articoli durissimi.
A settantun anni Chanel incassò il colpo ma decise di continuare.
A parte il fiasco della collezione decretato dai giornali, era ormai chiaro che la produzione di Alta Moda non era più una fonte di guadagno. Quello che rendeva erano gli accessori, i profumi e il pret-a-porter. La prima reazione positiva alla sua proposta, però, fu rapida e venne dagli Stati Uniti: i modelli della collezione furono venduti meglio di quanto non ci si aspettasse. Alle donne era piaciuta la nuova rivoluzione Chanel. La collezione autunnale ebbe un’accoglienza tiepida, ma l’influenza Chanel stava cominciando a farsi sentire nelle altre sartorie; Balenciaga, Patou e Lanvin proposero abiti diritti e morbidi. Stagione dopo stagione il progetto di Coco diventava sempre più chiaro: creare uno stile immediatamente riconoscibile e non soggetto ai repentini cambiamenti di moda che stavano caratterizzando il decennio. Il suo proposito era costruire una divisa perfetta per vestire il corpo femminile, realizzare un vero oggetto di design, ergonomicamente studiato per rispondere a diverse esigenze: il movimento, l’eleganza, la duttilità. L’oggetto intorno cui si concentrò la ricerca fu il tailleur. Anche i materiali che Chanel utilizzò furono i più diversi: dal jersey al velluto, dal merletto alla mussola di lamé, ma quello che passerà alla storia con il suo nome fu il tweed; un tweed particolare, morbido, a trama larga, tessuto con fili di fibra e torsione diversa in modo da ottenere un effetto elastico e spugnoso. Il completo era composto da tre pezzi: una giacca, una gonna o un vestito senza maniche e una blusa. Il tailleur di tweed era foderato con una seta identica a quella della blusa, in modo da comporre un insieme. Per evitare che il tweed, materiale molle, si deformasse, fodera e tessuto facevano corpo unico: erano percorsi da un’ impuntura caratteristica, spaziata di qualche centimetro, che costituiva una sorta d’imbottitura. Per conservare la caduta a piombo di questi materiali estremamente leggeri e quindi piacevoli da portare, una catenella piazzata in fondo alla giacca assicurava una verticalità irreprensibile all’insieme. Le proporzioni erano invariabili: il busto piccolo e lungo; la gonna o l’abito sempre sotto il ginocchio. Le rifiniture della giacca erano ottenute con bordi ricamati a sfilatura utilizzando trama e ordito del tessuto, che venivano intrecciati con fili di colore contrastante.
Ancora una volta Chanel si trovava al centro del movimento culturale che si proponeva di innovare il gusto occidentale. Orami vecchia, si concentrò sulla realizzazione di un oggetto difficilissimo: il vestito perfetto. In molte culture esistono vestiti perfetti, come il sari o il kimono, ma ci sono voluti secoli per arrivare alla loro definizione. Chanel decise di compiere quest’impresa nei pochi anni che le restavano da vivere. Insensibile a tutte le mode che cambiavano intorno a lei, continuò per tutti gli anni Sessanta a raffinare il suo stile, a realizzare capi sempre più perfetti, a cercare un’armonia sempre maggiore fra i pochi pezzi che componevano le sua opera d’arte. Il suo lavoro era un perfezionamento
continuo che non dipendeva da un progetto fatto a priori, ma dal perfetto adattamento dell’abito alla figura cui doveva appartenere. Il modello era semplice, sempre uguale. Anche l’uso del tessuto non predeva grandi variazioni, sempre materiali morbidi, tweed o jersey usati in dritto filo. Era l’esatto contrario del pret-a-porter, della taglia, dell’abito che va bene a tutti quelli che hanno le stesse, generiche, caratteristiche morfologiche.
Nel frattempo, il profumo e i gioielli, erano ricercati nel mercato internazionale come oggetti di moda: tutte le riviste parlavano di lei e le donne eleganti del mondo intero avevano almeno un suo tailleur nel guardaroba. Persino Jacqueline Kennedy divenne un involontario testimone del marchio con il tailleur rosa che indossava al momento dell’assassinio del marito. Nel 1955 Marilyn Monroe dichiarò, non senza ironia, di dormire indossando solo cinque gocce di Chanel N°5, con un effetto pubblicitario di dimensioni mai viste.
Chanel morì il 10 gennaio 1971 al Ritz a ottant’otto anni.



Modello di tailleur, marzo 1927

Costumi per il balletto Le Train bleu, 1924



Tailleur, aprile 1959. In tweed con i bordi a contrasto, indossato con una camicietta abbinata, sandali, guanti corti, collana e orecchini di perle e cappello di paglia; il tipico insieme Chanel.



Testo tratto da: Storia della moda XVIII-XX secolo, Enrica Morini, edizioni Skira

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