Agli
sfrenati anni ’20 seguì un decennio di tranquilla eleganza. I
tempi erano incerti, il grande crollo della Borsa del 1929 causò
fallimenti e disoccupazione di massa. Chi poté salvare il patrimonio
non lo mise più in vista, almeno non più ostentatamente. Le feste
non avvenivano più nei bar o nei club bensì in abitazioni private.
Dall’abbigliamento fino all’arredo d’interni, tutto era di
eccellente valore ma senza l’ostentazione che caratterizzò il
decennio precedente: tutto si era ridimensionato. Mai venne dato più
valore all’abbigliamento adeguato e conveniente. Mentre la
flapper-girl degli anni ’20 ballava notte e giorno nei suoi abitini
charleston, le signore degli anni ’30 si vestivano sostanzialmente
in lungo. L’abito doveva essere di seta, perché solo la più
costosa delle stoffe cadeva in diagonale in modo così
inimitabilmente aerodinamico da esaltare il corpo senza doverlo
scoprire. La geniale invenzione di Madeleine Vionnet di tagliare la
stoffa nel senso della cucitura venne nel frattempo copiata da tutti.
La finezza stava nel fatto che il taglio del tessuto conferiva grande
elasticità molto tempo prima che fosse inventata la lycra. Seno,
vita e fianchi vennero rivalutati dato che la stoffa vi aderiva,
cadendo poi fino all’orlo in pieghe naturali. Le scollatture,
soprattutto quelle sulla schiena, non avevano limiti. Hollywood
mostrò le schiene nude e la cosa venne subito imitata ovunque. Il
ballo rimase anche negli anni ’30 il divertimento principale. Era
di moda lo swing e nacquero il foxtrott e la rumba mentre il tango
rimaneva sempre molto richiesto. Fred Astaire e Ginger Rogers, i
primi ballerini del mondo del cinema, dimostrarono in otto musical
compresi tra il 1934 e il 1939, che una coppia deve solo sapersi
muovere al ritmo giusto per essere felice. Ginger Rogers disegnò
molti dei suoi costumi; aveva una predilezione per le piume di
struzzo. Ma le esagerazioni di Hollywood non vennero riprese dai
ballerini mondani. Gli abiti da sera erano di austera eleganza e
rendevano il corpo magro e slanciato, molto femminile. Le grandi
scollature sulla schiena erano spesso molto semplici ma valorizzate
da un unico libero cordoncino di perle. Il capo più adatto a
scaldare le spalle nude era naturalmente la pelliccia, in particolare
la volpe argentata. Era considerato particolarmente elegante
indossare due volpi intere, ma nulla aveva più fascino di una vera e
propria pelliccia di volpe bianca. Chi non se la poteva permettere
ripiegava su mantelle di velluto o stole di chiffon in colori
luminosi. E chi non poteva permettersi neanche la seta? Coco Chanel
aveva pensato anche a costoro: tenne conto della crisi economica
integrando la sua collezione da sera con abiti di cotone. La donna
seppe arrangiarsi bene durante gli anni della depressione: chi non
poteva acquistare abiti nuovi, allungava facilmente i vecchi, dato
che ormai neanche di giorno si portava più il corto. Le ricche
signore indossavano la pelliccia anche di giorno: persiano, castoro e
lontra erano confezionati in cappotti a tre-quarti e si
accompagnavano all’obbligatorio abito princess. Era tutto aperto
sul davanti e trattenuto in vita da una cintura fine. Ne risultava
una silhouette snella che seguiva le linee del corpo; il tessuto
scendeva morbidamente. Le maniche erano inserite, lunghe e aderenti e
terminavano spesso con polsini aperti o arricciati. Talvolta le gonne
ottenevano l’ampiezza desiderata inserendo dei godet sotto i
fianchi. La libertà di movimento era importante perché adesso,
perfino negli ambienti migliori, era consuetudine che le donne
fossero impegnate fuori casa, sia pure solamente a scopi
caricateveli. Erano parte integrante dell’abbigliamento femminile i
guanti e naturalmente il cappello. Nella moda “ragionevole” degli
anni ’30 le donne si permettevano copricapo molto fantasiosi.
Vennero di moda i più diversi berretti, cuffie, pagliette,
cappellini a campana o a piatto e ogni tipo di foggia fantasiosa.
L’unico punto in comune era il modo di calzarli, leggermente
obliqui sulla fronte. La creatrice di cappelli più significativa fu
Elsa Schiaparelli che non aveva studiato né da modista né da
stilista e tuttavia caratterizzò fortemente la moda degli anni ’30.
I tallieur erano tagliati aderenti come vestiti, la vita vistosamente
segnata e spesso enfatizzata da una cintura. I rever erano ampi e,
almeno in estate, le scollature generose. Sotto i tailleur si
indossavano camicette. Grandi fiocchi o foulard morbidamente annodati
riempivano la parte alta mentre facevano apparire la vita ancor più
sottile. Nel 1933 Hermès mise sul mercato il primo dei suoi famosi
foulard di seta che ancora oggi sono ricercati come pezzi da
collezione o per doni sofisticati. Ci si basò molto sul contrasto di
colori, anche le scarpe, dal tacco alto e solido, erano bicolore. Le
preferenze per vite sottili fece resuscitare l’industria dei busti,
i quali però esercitavano ora una pressione delicatissima grazie ai
materiali come il latex. Ma solo fin sotto al seno, dato che
quest’ultimo tornò a essere spinto verso l’alto. Gli accessori
erano indispensabili. Si usavano borsette appiattite a forma di
busta, oppure piccoli sacchetti con rigide chiusure a schiocco. La
bigiotteria era accettata ovunque grazie anche alla coraggiosa
abitudine di Chanel di mescolare allegramente preziosi con
imitazioni. Gli occhiali da sole diventarono l’accessorio d’ultimo
grido. La moda era in questo periodo più votata alla perfezione che
alla creazione, ma ciò non valeva assolutamente per Elsa
Schiaparelli.
Una
volpe bianca era considerata l'accessorio più fascinoso del
decennio.
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