"Per
una società la condizione della donna è la misura del suo grado di
civiltà"
Karl
Marx
Non
vi racconterò per intero la vera e propria storia dei Pantaloni ma
affronterò la ben più interessante questione dell'introduzione di
questo lungamente discusso capo di abbigliamento nell'armadio di noi
donne.
Per
darvi un breve cenno storico introduttivo direi solamente che i
pantaloni sono nati più di duemila anni fa ed erano inizialmente
utilizzati dalle popolazioni nomadi delle steppe euroasiatiche, a
quanto pare indossati sia da uomini che da donne.
Sembrerebbe
invece che nelle antiche società occidentali si ritenesse l'uso dei
pantaloni da parte delle donna un tentativo intollerabile di
appropiarsi di privilegi e prerogative squisitamente maschili e per
questo motivo in Europa i pantaloni faranno ufficialmente il loro
ingresso nel guardaroba femminile solo nel XX secolo.
Fino
agli inizi del 1800 l'abbigliamento femminile era simbolo di
una condizione che vedeva la donna appartenere all'uomo, costretta ad
un' esistenza subordinata e austera. Le cose cominciarono a cambiare
verso la metà del secolo quando in America si manifestarono i primi
movimenti per l'emancipazione femminile. Le donne iniziarono a
rivendicare il proprio ruolo sociale, il diritto al voto e il
desiderio di realizzarsi nel lavoro e non solo nella famiglia, e i
"calzoni" divennero il simbolo della rottura con un passato
fatto di abiti tradizionali ormai scomodi e inadatti ad una
quotidianeità più libera e attiva che le donne desideravano di
inziare a vivere. Durante quegli anni nacque così il primo modello
di pantaloni per signora, che prendevano ispirazione
dall'abbigliamento tipico delle donne turche. Furono
chiamarti Bloomers, dal nome dell'attivista e scrittrice
americana Amelia Bloomer. Questa donna coraggiosa sperimentò in
prima persona l'uso di un nuovo tipo di abito, esortando tutte le
donne a imitarla, ma l'opinione pubblica reagì gridando allo
scandalo.
Bloomers
Gli
indumenti da lei proposti erano tutto sommato pudici, una tunica al
ginocchio sotto cui spuntavano ampi pantaloni allacciati alle
caviglie, ma non riuscirono comunque ad affermarsi davvero in Europa,
dove le donne più coraggiose che osavano indossarli erano bersagli
di insulti anche pesanti. L'abito della Bloomer venne accusato di
attaccare le basi della società; i giornali satirici si riempirono
di vignette in cui donne in pantaloni comandavano a bacchetta uomini
in abito lungo. Chiaramente escluse dalle chiese le sostenitrici
della riforma dell'abbigliamento dovettero aspettare ben due
generazioni per riuscire ad essere accettate. L'attentato alla moda
contemporanea si rivelò così un fallimento perchè troppo
prematuro.
In Europa i pantaloni non furono quindi inzialmente
tollerati tranne nel caso di donne che facessero un mestiere da uomo.
In Inghiltera le attività di estrazione erano all'epoca abbondanti e
ben pagate, donne forti e intelligenti non esitarono a scandalizzare
il perbenismo vestendosi da uomo e affrontando mansioni molto
faticose ma assai redditizie. Le ragazze che scavavano nelle miniere
di Carbone di Wigan furono le prime ad indossare i pantaloni per
compiere il loro pericoloso e sporco lavoro, affiancate dalle
cercatrici d'oro e dalle mandriane dei ranch in America.
Sarà il successo di massa dello sport e delle attività fisiche, come l'alpinismo o il ciclismo, a riuscire ad addolcire le norme proibizioniste allargando definitivamente l'uso dei pantaloni nella ricerca di maggiore comodità e naturalezza. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento lo sport diventò attività comune, insieme a viaggi e vacanze, richiedendo indumenti adatti alle situazioni in cui il corpo si doveva muovere liberamente e chiaramente i pantaloni erano l'abbigliamento ideale.
Arrivarono poi gli anni '30 e alcune celebrici attrici iniziarono ad indossare volentieri i pantaloni democratizzando così, se pur lentamente, un capo maschile anche per le donne ordinarie. Tra tutte Marlene Dietrich impose l'immagine di una donna androgina, sensuale e sfacciata. Un aneddoto curioso racconta che nel 1931 il sindaco di Parigi chiese alla famosa attrice di lasciare immediatamente la città dopo che fu vista passeggiare per le strade del centro in abiti maschili.
Sarà il successo di massa dello sport e delle attività fisiche, come l'alpinismo o il ciclismo, a riuscire ad addolcire le norme proibizioniste allargando definitivamente l'uso dei pantaloni nella ricerca di maggiore comodità e naturalezza. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento lo sport diventò attività comune, insieme a viaggi e vacanze, richiedendo indumenti adatti alle situazioni in cui il corpo si doveva muovere liberamente e chiaramente i pantaloni erano l'abbigliamento ideale.
Arrivarono poi gli anni '30 e alcune celebrici attrici iniziarono ad indossare volentieri i pantaloni democratizzando così, se pur lentamente, un capo maschile anche per le donne ordinarie. Tra tutte Marlene Dietrich impose l'immagine di una donna androgina, sensuale e sfacciata. Un aneddoto curioso racconta che nel 1931 il sindaco di Parigi chiese alla famosa attrice di lasciare immediatamente la città dopo che fu vista passeggiare per le strade del centro in abiti maschili.
Marlene Dietrich
Ci vollero però i due terribili conflitti mondiali per rendere i pantaloni un'abitudine. Mentre gli uomini erano al fronte la popolazione femminile fu chiamata a sostituirli al lavoro nelle fabbriche, nei campi, negli uffici e negli ospedali e nel dopoguerra i pantaloni diventarono un capo di tendenza accettato anche per il giardinaggio, la spiaggia e altre attività di piacere. Insomma fu un percorso lento fatto di piccole conquiste ma quando si arrivò, esattamente cento anni dopo i primi movimenti femministi americani, a riconoscere l'uso dei pantaloni per la donna senza pregiudizi e accettandoli per ogni occasione, questo influenzò profondamente la mentalità femminile.
Verso la meta degli anni sessanta circa il cinquanta per cento delle signorine e signore inglesi, ma anche di quelle francesi, indossava i pantaloni. La marcia trionfale dei pantaloni procedette quindi a rilento come l'emancipazione.
Concluderei questo post citando una legge in vigore in Francia nel 1800 per la quale chi voleva vestirsi come un uomo doveva presentarsi alla stazione di polizia e chiedere personalmente l'autorizzazione e ricorderei a tutti che una legge che vieta alle donne di indossare i pantaloni, in quanto ritenuti un capo d'abbigliamento indecente, è ancora valida in Sudan, dove la colpevole viene punita con quaranta colpi di frusta.
LIBRI
Pantaloni
& co collana"Il novecento, storie di moda" Vittoria
de Buzzaccarini, Zanfi Editori
Catherine
Smith e Cynthia Greig
Traces
the history of the tradition of women wearing pants, providing
accounts and photographs from the 1850s
to the 1920s.
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