Il 1°gennaio 1928 Elsa trasferì abitazione e attività in un vecchio e
fatiscente appartamento al 4 di Rue de la Paix, che aveva come unico
merito quello di essere nella zona della moda, dove espose l’insegna
Schiaparelli Pour lo Sport e cominciò a presentare le sue
collezioni. Erano abiti sportivi ben costruiti e progettati per i
movimenti richiesti, ma colorati e decorati con immagini e scritte:
pesci rossi, ancore, stelle, cuori trafitti, anche sui costumi da
bagno. La diffusione del nuoto e delle vacanze al mare aveva portato
a una trasformazione del costume, che veniva realizzato con
lavorazioni a maglia più elastiche e aderenti, eliminando la
copertura di braccia e gambe e aprendosi in profonde scollature sulla
schiena. Questa novità fu ripresa da Schiaparelli e divenne una
delle sue specialità. Anche per lo sci cercò soluzioni più
eleganti rispetto a quelle un po’ rigidamente montanare che erano
in uso.
Nei primi anni
Trenta le collezioni si allargarono alle toilettes da città e da
sera, trasformando quella che era stata fino ad allora una produzione
specializzata, in una vera e propria Maison de Couture.
Nonostante
avesse iniziato questo lavoro senza avere la minima conoscenza della
cultura manuale tipica della sartoria, Schiaparelli elaborò idee
molto precise a proposito del modo in cui dovevano essere concepiti i
vestiti.
I tailleur di
tweed e le gonne pantalone divennero presto le specialità della
casa, insieme agli abiti da sera completati con la giacca. Anche i
decori cominciarono ad essere più provocatori: una di queste
giacche, ad esempio, prevedeva due mani maschili guantate incrociate
sulla schiena, come se la donna che la indossava fosse perennemente
abbracciata da un uomo. Fra le frequentatrici della Maison
Schiaparelli cominciavano ad esserci attrici di rilievo, come
Katherine Hepburn o Ina Claire. Elsa, seguendo l’esempio di Chanel,
scelse di indossare i suoi abiti personalmente a party e occasioni
mondane, soprattutto quando si trattava di soluzioni nuove e
stravaganti, quelle che nemmeno le clienti più eccentriche e alla
moda avevano il coraggio di sperimentare per prime. Le sue origini
aristocratiche e le sue amicizie all’interno del mondo degli
artisti internazionali, le permisero di essere accettata alla pari
dalla società del lusso. Lei stessa si sentiva un artista. Fare un
abito era solo tecnicamente un problema di sartoria, ma in realtà
era un modo per intervenire nella cultura estetica di un’epoca e
delle donne che lo indossavano o lo vedevano indossato. Il vestito
era il primo strumento di comunicazione interpersonale. Questo la
indusse a cercare in ogni modo un rapporto diretto con i suoi
“committenti” per influenzarli e condividerne le esigenze
sociali; compagna di feste e consigliera di bellezza, questo era il
ruolo che aveva scelto.
All’inizio
degli anni Trenta aveva messo a punto una silhouette femminile che
corrispondeva allo stile e all’ideale di donna che si stava facendo
strada dopo la Grande Crisi del 1929; la ricchezza tornava ad essere
un bene rarissimo che si poteva comunicare attraverso il lusso e
l’estrosità di cui si mostrò maestra. Gli abiti dovevano
proteggere la nuova donna dai contrattacchi del maschio, di cui stava
sfidando superiorità e dominazione e di cui stava invadendo il
territorio. Nella battaglia dei sessi i suoi abiti riflettevano
un’intera rivoluzione sociale: difensiva di giorno e
aggressivamente seducente di notte. Difesa e sicurezza dovevano
essere i principi informatori della divisa che l’esercito di donne
impegnate nel lavoro indossava di giorno per procedere lungo la
strada dell’emancipazione. Ma di sera si apriva lo spazio di
un’altra battaglia, quella dei sessi. I dieci anni passati fra New
York e Parigi le avevano insegnato che l’universo femminile
cominciava a costruire un universo autonomo di cui l’uomo era la
controparte, un nemico da fronteggiare per farsi spazio nel campo del
lavoro. Vestirsi diventava una filosofia da gestire con sapienza e
intelligenza. Per la battaglia quotidiana si trattava di costruire
una divisa guerriera utilizzando particolari presi dall’abbigliamento
da uomo. Nacque così la silhouette a grattacielo: linee dritte
verticali e spalle larghe squadrate con il seno protetto dal doppio
petto con i revers spesso puntuti e in colori contrastanti. Per
ottenere questo effetto i vestiti venivano muniti di imbottiture che
si collocavano soprattutto sulle spalle, sulle quali si concentravano
anche le decorazioni. Il saccheggio del guardaroba maschile non si
limitò ai segni secondari, come l’imbottitura, ma coinvolse tutta
una serie di indumenti piuttosto inconsueti che contribuirono al
diffondersi di un’immagine femminile sottile ma agguerrita: dolman*
da cosacco, uniformi da ferrovieri, giacche rosse da cavallo, costumi
da torero, cappe militari irrigidite da ricami, fino ad arrivare alle
sontuose vesti dei dogi trasformate in mantelli da sera. Anche
Chanel, nel decennio precedente, aveva adottato indumenti simili per
costruire una divisa adatta all’emancipazione femminile, liberando
il corpo dalle costrizioni e offrendogli una nuova e maggiore
capacità di movimento, ma Schiaparelli andò oltre. Conquistato il
comfort si trattava di connotare in modo più femminista l’abito,
permettendo alla donna di trasmettere attraverso le sue forme e le
sue decorazioni, la ricchezza del proprio mondo interiore, la sua
femminilità. Ad una struttura assolutamente semplificata e poco
mutevole (la divisa) affiancò una fantasia sfrenata che si espresse
attraverso decorazioni e accessori, con cui interpretò le mille
facce di una cultura femminile lussuosa, eccentrica, ironica e
seducente che si espresse soprattutto negli abiti da sera. Esempio di
questa ricerca furono i cappelli e i copricapi che assunsero le forme
più inconsuete ed estrose trasformandosi in veri e propri strumenti
di comunicazione.
Dal 1931
Schiaparelli cominciò a ingrandire la sede della Maison, occupando i
primi piani del palazzo in rue de la Paix e aprendo un piccolo spazio
vendite nel cortile. Insieme all’attività si era allargato anche
il suo staff, che ormai prevedeva un responsabile per ogni settore
operativo e una serie di collaborazioni, alcune delle quali durarono
per sempre, tra le quali anche alcuni importanti artisti come Dalì e
Cocteau, Giacometti, Leonor Fini e Christian Bérard. E fotografi
come Meyer e Man Ray che aveva conosciuto a New York ma anche Horst,
Beaton e la scoperta di Avedon negli anni del dopoguerra. Elsa
continuò a lavorare sulla stessa silhouette, variandone
costantemente l’immagine e la logica decorativa. Nel 1933 propose
la linea scatola con cappe* che scendevano diritte dalle spalle
formando angoli retti. L’anno dopo comparve la linea cono, ispirata
a Poiret, con sontuosi pijama da sera, e poi la linea uccello:
berretti alati, ali in spalla abbastanza grandi per volare, cappe
alate su giacche da indossare di giorno e di sera, risvolti ad ala,
coda ad ali, le esotiche colorazioni dei mari del Sud, le piume di
fenicotteri, pappagallini verdi e canarini. Alla fine dell’anno
presentò la silhouette temporale che sviluppò nella linea tifone,
una versione aerodinamica del vestito degli anni precedenti.
Nello stesso
periodo sperimentò una grande quantità di materiali, sintetici o
rielaborati chimicamente, alla ricerca di effetti particolari che
otteneva spesso mischiando elementi diversi o usandoli in modo
mimetico.
Nel 1935 la
Maison, nel pieno successo, fu trasferita in Place Vendome, in uno
dei palazzi secenteschi realizzati da Mansart per Luigi XIV. La
Boutique divenne subito famosa grazie alla nuova formula
Pret-à-porter. C’erano i golf per la sera, le gonne, le bluse e
tutti gli accessori sdegnosamente respinti dalla Haute Couture. Le
vetrine erano divertenti e audaci e sconvolgevano tutte le tradizoni.
La produzione non si limitava più alla sartoria, ma spaziava dai
profumi agli accessori, dai bijoux agli indumenti sportivi. L’idea
era offrire alle clienti sia la possibilità di vestire Schiaparelli
dalla testa ai piedi, sia di scegliere anche un solo particolare
estroso da aggiungere alla propria divisa quotidiana. La Boutique
divenne uno dei punti obbligati della moda parigina. La nuova sede
rappresentò una svolta anche nella sua attività creativa. Dal 1935
le collezioni ebbero una cadenza stagionale, divennero quattro ogni
anno, cominciarono ad essere concepite ognuna intorno a un tema
d’ispirazione che faceva da filo conduttore tra gli abiti, gli
accessori, la loro presentazione in sfilata e la comunicazione sulla
stampa. Elsa scoprì che seguendo questo metodo riusciva a progettare
non solo l’abito, ma un’intera immagine femminile armonizzata in
tutte le sue parti: dalla scelta del tessuto, alle allacciature, ai
ricami fino al cappello, alla borse e alle scarpe, tutto poteva
essere coordinato seguendo un’idea principale, scatenando la
creatività in voli di fantasia ricchi di humour e di teatralità.
Per la primavera del 1935 come motivo furono scelte le cerniere.
Apparivano per la prima volta e con collocazioni inattese, persino
sugli abiti da sera; realizzate in colori contrastanti rispetto al
vestito così da accentuare la loro visibilità, furono un vero
successo di vendite. Nella collezione estiva comparve il tessuto
stampato a pagina di giornale che le era stato ispirato da una
venditrice di pesce di Copenhagen che usava un copricapo di carta per
ripararsi dal sole. La collezione d’autunno affrontò il tema
politico e si chiamò “Fermati, guarda, ascolta”.
In dicembre
andò a Mosca per rappresentare la Couture francese alla Prima Fiera
Internazionale Sovietica e disse “ La Russia era un paese che
decisamente mi affascinava e poi non voleva andarci nessuno e questo
già di per sé era irresistibile. Un viaggio culturalmente rilevante
fra le sconcertanti novità della Russia sovietica e le meraviglie
delle collezioni imperiali di Mosca e Leningrado.
Il motivo del
volo e dei nuovi mezzi di trasporto che cominciavano a solcare i
cieli, fu alla base di entrambe le prime sfilate del 1936. La
collezione invernale si adeguò invece alla moda che tutte le case
parigine stavano proponendo: gli abiti bianchi, in sbieco, scivolati
sul corpo, ispirati all’abbigliamento delle statue greche, Elsa
interpretò a suo modo l’idea e realizzò sia abiti morbidi di raso
sia modelli più vicini al suo stile, decorati da un motivo,
probabilmente ripreso da una tappezzeria del primo Ottocento. Nella
stessa collezione presentò un cappello che aveva il significato di
una presa di posizione a favore del Fronte Popolare: una versione
Haute Couture del berretto frigio*, che era diventato il simbolo
degli scioperi che avevano sconquassato la Francia e le sartorie di
Alta Moda. Schiaparelli risolse presto la situazione contrattuale
delle persone che lavoravano nel suo atelier garantendo salari più
alti della media, tre settimane di ferie l’anno e una particolare
forma di assistenza malattia.
Dolman
mantello
caratterizzato da maniche ampie e simili ad una sciarpa, cucite al
corpetto del vestito, così da sembrare metà giacca e metà
mantella.
Cappa
Mantello largo
senza maniche, con due aperture laterali per far passare le braccia,
dotato di cappuccio e spesso foderato di pelliccia
Berretto
Frigio
Che capolavori, eccezionali. Grazie
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