venerdì 22 gennaio 2021

Lezioni di cucito dal libro della nonna 52. LE FIBRE TESSILI seconda parte: IL COTONE


Il cotone è sempre stato considerato un prodotto tipico dell’India, un po’ come succede nel caso del lino per l’Egitto, della seta per la Cina e della lana di capra e pecora per il nord dell’Asia. Stabilire con esattezza dove e quando si iniziò a coltivare il cotone non è cosa facile, facendo una ricerca trovo informazioni diverse che mi portano alla conclusione che quella del cotone è una storia millenaria molto complessa, iniziata in diversi angoli del mondo presso diverse civiltà isolate, sia nel vecchio e nel nuovo mondo, dalla valle dell'Indo al Perù. Le prime testimonianze dell'uso delle fibre di cotone da parte dell'uomo risalgono circa al III millennio a.C in India, e quasi simultaneamente in sud America. In un certo senso, gli ultimi a scoprire il cotone furono proprio gli Europei, poiché potevano beneficiare solo dei tessuti importati da lontano, non avendo un clima adatto alla coltivazione della pianta. In seguito all’ influenza araba tutti i paesi che si affacciano nel bacino mediterraneo videro nei primi secoli a.C. l’introduzione del cotone, il primo centro di importazione fu Alessandria grazie ad Alessandro Magno che stabilì le prime rotte verso l'oriente. In Europa il cotone arrivò per la prima volta in Sicilia grazie ai Saraceni poco prima dell’anno mille, anche se ci vollero almeno altri tre secoli prima che si diffondesse, per tanti anni fu considerato un prodotto di lusso al pari della seta, anche perché rispetto alla lana era decisamente più difficile da filare e tessere. Intorno alla fine del 900 il cotone veniva lavorato nelle città mussulmane spagnole come Siviglia, Cordova, Granada e Barcellona, filati e tessuti indiani venivano importati nei porti di Venezia, Genova e Pisa. Il tessuto di cotone iniziò a diventare molto ricercato nei mercati urbani europei durante il Rinascimento e l' Illuminismo, la sua ascesa a importanza globale è avvenuta come risultato della trasformazione culturale dell'Europa e dell'impero commerciale britannico. L’industria del cotone fiorì in Europa nel XIV secolo. Nel 1664 fu fondata “La Compagnie francese delle Indie”, che commerciava in “indiani”, tessuti di cotone dipinti che suscitavano un immenso interesse. L’importanza di questa fibra tessile aumentò in modo esponenziale con la scoperta dell’America dove furono trovate delle specie locali diverse da quelle di origine asiatica. La coltivazione delle piante del cotone si diffuse in breve tempo soprattutto in quella che oggi viene definita America Meridionale, ma ebbe il momento di massima espansione a partire dal 1792 quando grazie alle nuove tecnologie i costi di produzione si abbassarono a dismisura. La coltivazione del cotone si diffuse poi nelle colonie francesi e britanniche dell'America Settentrionale, in quelli che oggi sono gli Stati Uniti meridionali, dove il clima e il terreno erano particolarmente favorevoli. Alla storia del cotone è strettamente legato il lavoro nelle grandi piantagioni delle popolazioni nere importate: gli schiavi africani. Gli schiavi arrivati dall’Africa non erano persone, ma oggetti, comprati, venduti, sfruttati e umiliati. Nella metà del 1800, nel Sud del paese, se ne contavano quattro milioni. L’avvento della rivoluzione industriale e l’invenzione nella seconda metà del 1700 di macchinari per la filatura e la tessitura, resero più veloci le lavorazioni del filato fino a farlo diventare sottile, resistente e pronto alla tessitura, e l'Inghilterra divenne il principale centro di produzione tessile. Spaventati dalla concorrenza delle pezze di cotone, filate e colorate in India, i produttori inglesi di lana riuscirono ad imporre, nel 1700, il blocco dell'importazione di cotone indiano, ma la Compagnia delle Indie continuò comunque a venderlo nel resto d'Europa. Nei decenni successivi, il cotone cominciò ad arrivare dal lavoro degli schiavi nelle piantagioni delle colonie d'America, veniva trasportato grezzo, per essere filato e lavorato nelle fabbriche del Nord d'Inghilterra, da Manchester a Liverpool, diventando il protagonista incontrastato della Prima Rivoluzione Industriale.



Il cotone è una pianta subtropicale, per crescere ha bisogno di un clima caldo caratterizzato da periodi di elevata umidità ad altri molto aridi, necessari alla fase di maturazione. Cresce in una fascia climatica ampia, compresa tra i 32-35 gradi a sud e i 39 a nord, e comprende quindi aree geografiche di diversi continenti. E’ una pianta tenace, capace di adattarsi alle più diverse condizioni di coltivazione. Come per tutti i prodotti agricoli, la coltivazione varia da paese a paese a seconda del livello di sviluppo. A seconda della varietà, del clima e delle tecniche agricole impiegate abbiamo piante di diversa altezza, da 25 cm fino a due metri. 


Il cotone è una fibra naturale ed è una delle fibre più utilizzate dall’uomo insieme alla lana. Nei vari paesi si coltivano varietà diverse. Oggi la produzione coinvolge almeno 300 milioni di persone in ottanta diversi paesi nel mondo. I più grandi produttori sono, in ordine decrescente, Cina, India, USA, Pakistan e Brasile. Il cotone rappresenta una delle voci piu' importanti dell'esportazione anche per l'Egitto, il Burkina Faso, la Costa d'Avorio e lo Zimbabwe. In particolare in Egitto e Sudan la coltura del cotone occupa una parte assai vasta della superficie agraria e viene praticata grazie all'irrigazione, ottenuta mediante la costruzione di grandi dighe. Purtroppo ben poco di puro o di naturale è rimasto del cotone tradizionale; se paragonato alle fibre sintetiche di ogni tipo che hanno invaso il mercato da anni, il cotone è generalmente visto come la fibra naturale per eccellenza, in realtà è la seconda fonte di inquinamento agricolo al mondo, essendo la coltura che riceve la maggior quantità di pesticidi. Ogni anno vengono riversate sui campi migliaia di tonnellate di sostanze chimiche, speciali pesticidi e fertilizzanti sono utilizzati per garantire massima resa e qualità. Essendo il cotone un grande business internazionale, pesticidi, erbicidi, fertilizzanti, e semi ogm sono in gran parte forniti dalle multinazionali che spesso incentivano i contadini al loro uso. E' una pianta che genera enormi impatti sociali, ambientali e politici che influiscono sulle povertà, sull’inquinamento, sui sistemi agricoli e sui costumi. Quando si parla di cotone non si può prescindere dai tanti impatti che esso genera. L'aumento dei livelli di reddito nei paesi in via di sviluppo, specialmente in Cina , ha causato negli ultimi dieci anni una crescita della domanda e di conseguenza dell'industria. La Cina oggi ha un ruolo chiave in questo settore, essendo diventato primo produttore e primo utilizzatore mondiale: determina la forbice tra offerta e domanda e anche, in gran parte, l'andamento dei prezzi mondiali. Il cotone biologico potrebbe rappresentare la soluzione, grazie anche alle sue ottime rese. Il cotone biologico è associato a una serie di punti di forza, minori rischi ambientali, prima di tutto. I coltivatori di cotone biologico, non facendo uso di pesticidi e di fertilizzanti sintetici, si concentrano sulla rotazione delle coltivazioni per aumentare le rese, sull’abbinamento del cotone ad altre colture alimentari da destinare al mercato locale e sull’uso di piante associate per attirare gli insetti utili e allontanare i parassiti, inoltre, impiegando solo concimi organici e rimedi biologici, favoriscono una maggiore biodiversità e una maggiore resilienza dei loro terreni. Poiché i semi sono naturali e non modificati geneticamente, gli agricoltori sono in grado di recuperarli e ripiantarli, mentre nel caso delle coltivazioni Ogm sono costretti ad acquistarne di nuovi ogni stagione.




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